{summary#bullet-1}
Sembra passato già molto tempo, ma solo un mese fa a Glasgow si chiudeva la COP26 con un colpo di scena finale non proprio positivo: l'accordo c'è, ma l'impegno all'uscita dal carbone e lo stop ai sussidi alle fonti fossili, inserito per la prima volta nella storia delle conferenze sul clima delle Nazioni Unite in una bozza iniziale che aveva galvanizzato i negoziati di Glasgow, viene ridimensionato a un rallentamento.
Vediamo, però, cos’altro è successo. Ecco gli accordi spiegati per punti.
{summary#bullet-2}
- Ribadito l’obiettivo a 1,5 gradi
Viene ribadito l'impegno a fare i massimi sforzi per stare sotto i 2 gradi di aumento delle temperature e nell'intorno di 1,5 gradi, considerato dagli scienziati il valore entro cui mantenersi. Il che si traduce in una promessa a ridurre le emissioni del 45% entro il 2030.
Le politiche climatiche messe in atto dai vari paesi dovrebbero essere aggiornate e rese più stringenti. In base ai calcoli dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), se tutti i paesi si atterranno ai piani che hanno presentato a Glasgow, nel 2100 il riscaldamento globale toccherà 1,8 gradi. Questi calcoli, però, si basano sugli obiettivi della decarbonizzazione previsti dai vari paesi nel 2050 e 2060 o addirittura nel 2070 per l’India.
Basandosi invece sugli obiettivi a più breve termine cioè quelli del 2030 il gruppo di ricerca Climate Action Tracker prevede che le temperature globali aumenteranno di almeno 2,4 gradi.
L’Unione Europea si presenta e negozia alle COP con una posizione comune. L’obiettivo comune, alla base del Green Deal Europeo, è la riduzione dei gas serra del 55% nel 2030.
{summary#bullet-3}
- Arrivano i sostegni economici, ma solo nel 2023
È stata una COP in cui si è parlato molto di denaro. Anche perché chi doveva riceverlo, ossia i Paesi meno sviluppati, è arrivato a Glasgow senza che le economie più ricche avessero raggiunto nel 2020 i 100 miliardi di dollari all'anno a sostegno della transizione energetica promessi nel 2009 a Copenaghen. L'impegno è di aumentare, persino raddoppiare gli stanziamenti in futuro tra il 2025 e il 2030. Intanto, però, il traguardo dei 100 miliardi è posticipato al 2023.
{summary#bullet-4}
- Rendere operativo l’Accordo di Parigi
Uno degli obiettivi più importanti di COP26 è stato quello di rendere trasparente l’insieme delle modalità per il reporting delle emissioni di gas serra ed il monitoraggio degli impegni assunti dai Paesi (NDC - Nationally Determined Contributions).
Sono state quindi adottate le tabelle e i formati per il reporting ai sensi del nuovo quadro di trasparenza (ETF) dell’Accordo di Parigi, che entrerà in vigore per tutti i Paesi entro il 2024.
È stato raggiunto l’accordo sui meccanismi di mercato, relativo all’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che riconosce la possibilità per i Paesi di utilizzare il mercato del carbonio internazionale per l’attuazione degli impegni determinati a livello nazionale (NDC). Tramite regole, modalità e procedure per i “meccanismi di mercato” si sono cancellate le principali scappatoie che rischiavano di rendere questo strumento inutile se non controproducente.
{summary#bullet-5}
- Diamoci dei tempi
L'accordo stabilisce che ogni Paese dovrà fornire alle Nazioni Unite i suoi piani sul clima per cicli quinquennali. Però manca un impegno stringente. Il patto di Glasgow si limita a “incoraggiare” a presentare nel 2025 il pacchetto di impegni per ridurre le emissioni e centrare gli obiettivi degli accordi di Parigi, detti contributi determinati a livello nazionale del 2035, nel 2030 quelli del 2040.
{summary#bullet-6}
- Rinviato al 2022
Non tutto si conclude a Glasgow. Entro l'anno prossimo i Paesi che ancora non l'hanno fatto devono consegnare i loro piani nazionali. Poi parte un programma di lavoro per accelerare il taglio delle emissioni, che presenterà i suoi risultati alla COP27, ospitata dall'Egitto a Sharm-el-Sheik, e una commissione annuale di verifica delle strategie sul clima dei vari Paesi.