Abbiamo spesso parlato di quanto comunicare correttamente il tema della sostenibilità tramite operazioni di green marketing sia una sfida delicata, e farlo nel modo sbagliato può causare più danni che benefici.
Anche le azioni intraprese per migliorare la sostenibilità rischiano di perdere di credibilità ed efficacia se mancano di strategia e strumenti concreti. In questo caso, poi, si rischia di cadere nel greenwishing, ovvero il rischio di fissare obiettivi ambiziosi senza reali mezzi per raggiungerli.
Dall’altro lato, c’è il pericolo opposto, il greenhushing, ovvero il silenzio comunicativo. In questo caso, le iniziative volte alla sostenibilità vengono messe in atto, ma non comunicate, spesso per timore di essere accusati di greenwashing.
In questo articolo ci concentriamo proprio su quest’ultimo concetto: il greenwashing, una pratica spesso citata, ma non sempre compresa.
Cosa si intende davvero per greenwashing? Quali sono i rischi per le aziende che lo praticano? E, soprattutto, come evitarlo? Scopriamolo insieme in questo articolo.
{summary#bullet-1}
Che cosa si intende con il termine greenwashing?
Il greenwashing è una pratica adottata da aziende, enti o istituzioni che mettono in evidenza gli aspetti positivi di alcune iniziative sostenibili, omettendo intenzionalmente di comunicare l'impatto negativo di altre attività, spesso ben più dannose.
L’obiettivo è creare l’illusione di un impegno verso la sostenibilità, distogliendo l’attenzione dalle criticità.
Il termine deriva dalla combinazione di “green” (verde) e “washing” (lavare), richiamando l’idea di una “mano di verde” data per migliorare l’immagine aziendale e conferire una percezione di credibilità ambientale, spesso ingannevole.
L’uso del termine è diventato comune a partire dagli anni ’90, un periodo in cui l’interesse crescente dei consumatori per le tematiche ambientali ha iniziato a influenzare le loro decisioni di acquisto. Questa maggiore attenzione all’impatto ambientale ha spinto molte aziende a cercare di apparire più sostenibili, non sempre in modo trasparente.
{summary#bullet-2}
I rischi di praticare il greenwashing
Il principale rischio associato al greenwashing è la perdita di fiducia: quando i consumatori scoprono di essere stati ingannati da dichiarazioni ambientali false o fuorvianti, ricostruire una reputazione danneggiata diventa estremamente difficile.
Quando i consumatori scoprono di essere stati ingannati da dichiarazioni ambientali false o fuorvianti, ricostruire una reputazione danneggiata diventa estremamente difficile.
Spesso, il danno provocato da una perdita di credibilità supera di gran lunga il beneficio immediato che l’azienda spera di ottenere. La perdita di fiducia, però, non si limita ai consumatori: anche gli investitori, sia pubblici che privati, sono sempre più sensibili alle questioni di sostenibilità.
L’attenzione crescente verso i bisogni e le richieste dei consumatori influenza direttamente le decisioni degli investitori. Se il pubblico perde interesse o fiducia in un’azienda a causa di pratiche di greenwashing, è molto probabile che anche gli investitori abbandonino il loro supporto.
E i rischi associati al greenwashing non si limitano a perdite di fiducia e reputazione: come confermano le ultimi direttive (di cui parleremo più avanti), l'Unione europea è sempre più attiva per contrastare il fenomeno del greenwashing. Lo stesso Parlamento europeo afferma che le imprese che infrangeranno le regole potranno essere soggette a sanzioni, come l’esclusione temporanea dalle gare d'appalto pubbliche, la perdita dei propri ricavi e ammende pari almeno al 4% del fatturato annuo.
{summary#bullet-3}
Quali sono i vantaggi di comunicare correttamente la sostenibilità?
Comunicare la sostenibilità non è un passaggio scontato. L’interesse crescente dei consumatori, sempre più attenti e pronti a contrastare fenomeni di greenwashing, insieme all’aumento delle normative dell’Unione europea, può scoraggiare le aziende nell’affrontare questo processo.
Tuttavia, promuovere un sistema efficace di comunicazione dei risultati in ambito sostenibile porta a risultati concreti. Per intraprendere questa strada è fondamentale avvalersi di un team di comunicazione esperto, capace di valorizzare le iniziative aziendali ed evitare la trappola del greenwashing.
Quali sono i risultati di una comunicazione corretta ed efficace?
In primo luogo, si rafforza la fidelizzazione dei clienti, che si sentono più coinvolti nell’acquistare prodotti o servizi offerti da aziende realmente impegnate nella sostenibilità. In secondo luogo, migliora la reputazione aziendale, rendendo l’impresa più attrattiva per i giovani talenti sensibili a queste tematiche e propensi a promuovere un cambiamento positivo.
La combinazione di questi aspetti può infine portare a un ulteriore beneficio significativo: l’attrazione di investimenti, sia pubblici che privati, che consentono una crescita aziendale più solida e duratura.
{summary#bullet-4}
Cosa fare per evitare il greenwashing? I 7 principi fondamentali
Abbiamo chiarito cosa si intende per greenwashing e quanto sia cruciale comunicare la sostenibilità in modo corretto e trasparente. Ma come evitare di cadere in questa pratica dannosa?
Un principio cardine guida i professionisti della sostenibilità e può essere riassunto nella seguente frase:
“Le espressioni, i termini e le affermazioni legate alle performance ambientali devono essere basati su una metodologia di valutazione chiara, trasparente, scientificamente fondata e documentata, in modo che coloro a cui sono rivolti o possono potenzialmente essere rivolti possano essere assicurati della validità delle asserzioni”.
Da questo principio derivano 7 regole fondamentali che ogni comunicazione sulla sostenibilità deve rispettare per essere credibile e corretta. Tali dichiarazioni devono essere:
- accurate e non fuorvianti;
- comprovabili e verificabili;
- pertinenti e utilizzate in un contesto appropriato;
- presentate in modo chiaro;
- specifiche rispetto all’aspetto ambientale indagato;
- fatte considerando il ciclo vita del prodotto o dell'organizzazione;
- supportate da dichiarazioni esplicative.
Seguire queste regole non solo evita il rischio di greenwashing, ma costruisce anche fiducia e credibilità, elementi fondamentali per un’efficace strategia di sostenibilità.
{summary#bullet-5}
Come riconoscere le aziende che fanno greenwashing: 5 esempi pratici
Comunicare la sostenibilità in modo efficace significa essere chiari, precisi e basarsi su dati concreti. Alcune frasi, pur se ben intenzionate, possono risultare vaghe o fuorvianti, rischiando di minare la credibilità dell’azienda.
In alcuni casi, il problema è ancora più grave, perché vengono introdotte intenzionalmente sul mercato etichette false o simboli di certificazioni creati dall’azienda, privi di verifica da parte di enti terzi indipendenti.
Per evitare il greenwashing, è importante saper trasformare le affermazioni generiche in dichiarazioni specifiche, supportate da fatti.
Di seguito presentiamo 6 esempi di frasi sospette che possono svelare chi sta tentando di fare greenwashing, accompagnati da suggerimenti su come una comunicazione corretta e trasparente dovrebbe invece essere formulata.
{summary#bullet-6}
Direttiva 2024/825/UE: la direttiva europea contro il greenwashing
L'Unione europea è da sempre molto attenta per quanto riguarda le tematiche ambientali, e negli ultimi anni si è dimostrata particolarmente attiva nella produzione di normative in questo ambito.
Tra le principali iniziative, spicca la Tassonomia UE, un sistema di classificazione che stabilisce se un’attività economica può essere considerata sostenibile dal punto di vista ambientale.
Ad essa si affiancano la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), che obbliga le imprese del settore finanziario a fornire informazioni dettagliate sulla sostenibilità dei loro prodotti, e la direttiva Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che estende l’obbligo di redigere il bilancio di sostenibilità a un numero maggiore di aziende.
L’ultimo tassello di questa strategia normativa è la Direttiva 2024/825/UE, conosciuta come “Empowering Consumers for the Green Transition”.
La direttiva, pubblicata il 6 marzo 2024 e applicabile dal 27 settembre 2026, ha l’obiettivo di consolidare e rafforzare le normative esistenti, definendo con maggiore chiarezza la terminologia utilizzata dalle imprese per le proprie dichiarazioni ambientali.
Tra le misure principali, spicca l’incentivo a utilizzare claim supportati da certificazioni ufficiali, come l’Ecolabel europeo, che attesta un ridotto impatto ambientale, o dichiarazioni chiare e specifiche su una singola caratteristica ambientale.
In particolare, la direttiva stabilisce anche alcuni divieti specifici riportati nell’Allegato I, il quale indica chiaramente che è sempre vietato:
- esibire un marchio di sostenibilità che non sia basato su un sistema di certificazione o non sia stabilito da autorità pubbliche;
- formulare un’asserzione ambientale generica per la quale l’operatore economico non è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione;
- formulare un’asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell’attività dell’operatore economico;
- asserire, sulla base della compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra;
- presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico.