La carbon neutrality è uno dei temi più rilevanti e dibattuti quando si parla di sostenibilità. Tuttavia, è anche un argomento che spesso genera confusione, tra definizioni poco chiare e approcci diversi. Proprio per questo, fare chiarezza e approfondire la situazione attuale è più importante che mai.
Partiamo dall'inizio!
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Che cosa si intende per carbon neutrality?
Secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), un organismo internazionale istituito dalle Nazioni Unite per studiare il cambiamento climatico, si può constatare che:
“La neutralità carbonica si realizza quando avviene un bilanciamento tra la CO2 emessa nell’atmosfera e la CO2 ridotta o catturata dall’atmosfera in un determinato periodo di tempo”.
Più semplicemente possiamo affermare che raggiungere la carbon neutrality significa avere un impatto neutro sul riscaldamento globale.
Sono ormai diversi anni che questo concetto è entrato nel dibattito internazionale facendo sì che diverse istituzioni si pongano l’obiettivo di raggiungere questo traguardo.
Un esempio è quello di Copenaghen che, tramite il proprio CPH Climate Plan, per il 2025 intende diventare la prima capitale carbon neutral al mondo mettendo in atto una serie di azioni per uno sviluppo infrastrutturale e sociale che mitighi gli effetti sull’ambiente.
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Perché è importante compensare l’anidride carbonica (CO2) e tutti i tipi di gas serra?
A seguito del cambiamento delle condizioni climatiche, con l’Accordo di Parigi è stato previsto il raggiungimento delle zero emissioni nette per il 2050 e il contenimento del riscaldamento globale entro la soglia di sicurezza di 1,5°C.
Con un intento così ambizioso, è nata la necessità da parte di istituzioni e imprese di avviare un percorso verso la carbon neutrality, concentrando l’attenzione su quella che è la variabile cruciale per la conservazione dell’ecosistema: i gas serra di origine antropica.
Nell’analisi delle emissioni tutti i gas serra vengono convertiti in CO₂ equivalente, per semplificare calcoli complessi e perché è l'anidride carbonica effettivamente il tipo di gas preponderante.
L’anidride carbonica di per sé svolge un ruolo chiave nell’atmosfera, regolando la temperatura e permettendo il proliferare della vita sulla Terra. Tuttavia, l’accumulo eccessivo di CO2 causato dall’azione dell’uomo ha contribuito a un aumento della temperatura media globale che ha portato alle conseguenze che purtroppo vediamo, tra siccità, alluvioni e perdita della biodiversità.
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Cosa vuol dire diventare carbon neutral?
Essere un’azienda carbon neutral significa avere un impatto neutro sul Pianeta producendo zero emissioni nette di CO2, ma la via verso la decarbonizzazione non è semplice.
C’è da dire, però, che molte tra le più grosse company mondiali hanno già iniziato a implementare delle strategie climatiche per ridurre la propria impronta di carbonio e quella di tutta la supply-chain.
Gruppi economici di rilievo come Apple, Gucci, Netflix, Nestlé e Microsoft, per citarne alcuni, oltre a essersi dotati di piani di corporate social responsibility hanno fissato degli obiettivi di carbon neutrality. Tali obiettivi sono andati progressivamente ad influire sull’intera filiera di aziende più piccole ad essi collegate, innescando un circolo virtuoso con un saldo positivo per l’ambiente.
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Come diventare carbon neutral
Considerando che non esiste attività al mondo che non generi emissioni di CO₂ e che le aree di business toccate dal tema della neutralità carbonica sono praticamente infinite, la climate journey di una singola azienda, seppur complessa, può contare su un percorso regolato da standard internazionali.
Questo percorso prevede 4 azioni fondamentali:
1. Calcolo delle emissioni
Il primo passo verso la carbon neutrality consiste nel calcolo della carbon footprint prodotta dalle attività lavorative.
Occorre identificare tra emissioni dirette che derivano da fonti detenute o controllate ed emissioni indirette che derivano da consumi energetici interni o esterni all’azienda come possono essere l’elettricità acquistata, il riscaldamento, il raffreddamento e il vapore consumato da un’organizzazione.
2. Riduzione
Dopo aver stimato la propria carbon footprint, l’azienda è chiamata a impostare una strategia per ridurre le emissioni di anidride carbonica.
Si adottano quindi pratiche di efficientamento energetico e iniziative mirate a coinvolgere il personale. L'obiettivo è incentivare comportamenti quotidiani più consapevoli, come ridurre il consumo di energia o scegliere forme di mobilità sostenibile e condivisa.
3. Compensazione
Come abbiamo visto, qualsiasi attività svolta dall’uomo produce emissioni di CO2 eq, che non sempre possono essere ridotte al 100%.
Le emissioni non riducibili, però, possono essere compensate andando a finanziare progetti certificati che bilanciano l’impatto ambientale, come la riforestazione su larga scala, la preservazione di ecosistemi in grado di assorbire CO2, le soluzioni tecnologiche di cattura della CO2 dall’atmosfera e altre soluzioni che puntano tutte all’assorbimento dell’anidride carbonica.
Inoltre, la sola attività di riduzione richiede tempi che non possiamo più permetterci di aspettare, mentre affiancare in sinergia un’attività di compensazione è la strategia più tempestiva per limitare gli effetti del cambiamento climatico.
4. Comunicazione
Impegnarsi in un percorso verso la carbon neutrality consente di beneficiare di molteplici vantaggi in termini economici e di brand reputation.
Comunicare l'adozione di una strategia climatica e il raggiungimento dei relativi obiettivi rappresenta un elemento chiave per accrescere il vantaggio competitivo sul mercato. Oggi, infatti, le aziende che dimostrano sensibilità verso la sostenibilità sono maggiormente valorizzate, attirando nuovi talenti e consolidando la propria posizione rispetto ai concorrenti.
Non ultimo, anticipare il cambiamento diventa decisivo per catturare l’attenzione di possibili investitori pronti a sostenere tutte quelle aziende che, grazie alla transizione verso la decarbonizzazione, ispirano fiducia e risultano essere solide agli occhi degli stakeholders.